Cosa pratichiamo? Ogni volta ci mettiamo in gioco: di fronte alle difficoltà dei percorsi, di fronte alle difficoltà della convivenza. Ne usciamo più forti, non di quella forza che sovrasta (natura o esseri umani), ma di quella forza che ci rende cooperanti, legati e amici.
Tra letti di fiumare tutto tace
Dopo aver respirato il silenzio delle leggende che avvolgono le Caldaie del Latte e la Rocca del drago, proseguiamo il nostro viaggio.
Percorriamo in discesa la strada che ci porterà a Roghudi Vecchio. Dobbiamo muoverci piano, per due motivi: la strada è a tratti pericolosa e ghiacciata, ma è anche bello fermarsi e guardarci intorno. Ancora riusciamo a scorgere il mare in lontananza accarezzato da un tiepido sole che lo rende oro ai nostri occhi; se ci voltiamo, invece, siamo nel cuore dell’Aspromonte, e se facciamo silenzio, iniziamo a sentire lo scorrere delle fiumare.
Brunori Sas canta: “e in mezzo a rocce secolari, e letti di fiumare. Attraversando le stagioni, riconsegnarmi al mare“. Adesso capiamo meglio il senso di queste parole. Siamo dentro questa poesia.
L’uomo sfida la natura
Con una lentezza piacevole arriviamo alla nostra meta, un paese fantasma a 600 metri di altitudine. Roghudi Vecchio ha vissuto il dramma delle alluvioni e dello spopolamento per ben due volte: la prima alluvione è avvenuta nel 1971 e già a partire da questa data il paese ha iniziato a svuotarsi. Nel 1973 Roghudi Vecchio viene inondata dalla fiumara Amendolea: è la volta definitiva, gli abitanti sono costretti a lasciare le loro case e a spostarsi non molto lontano.
Probabilmente era scritto nel nome. Infatti Roghudi può avere una doppia origine e quindi un doppio significato: dal greco “rogodes” e cioè pieno di crepacci, oppure, sempre dal greco, “rhekhodes“, aspro.
Una piccola curiosità: ai muri delle abitazioni venivano conficcati dei chiodi a cui le donne assicuravano delle cordicelle legate poi alle caviglie dei bambini, per evitare che potessero cadere giù nel burrone, e scorrere insieme alla fiumara.
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